Alcune indicazioni operative
Conosciamo tantissimi luoghi comuni rispetto alle fatiche dei genitori nel crescere e nell’educare i figli. Sappiamo anche che spesso i sogni e i buoni propositi dei genitori, nei ruoli di educatori, si scontrano con una realtà che impedisce di vedere realizzata la famiglia felice del Mulino Bianco.
Nei racconti e nei pensieri dei genitori troviamo frasi del tipo: “io vorrei essere felice, sereno, positivo…ma è mio figlio che non mi ubbidisce, fa cose che non dovrebbe fare…io non riesco ad ottenere ciò che voglio, per questo mi arrabbio, mi sento frustrato, impotente…e poi non so più come fare. Vorrei tanto avere una soluzione per i problemi con mio figlio!”
Sappiamo anche che se le difficoltà quotidiane sono diverse non potrà esserci una singola soluzione per tutti i problemi. Per ogni problema dobbiamo trovare una soluzione perché diverse possono essere le ragioni che li generano.
Al di là dei problemi contingenti, a fare i genitori si impara, con l’esperienza e la riflessione.
Vorremmo a questo proposito proporre una riflessione su tre punti, ovvero sugli atteggiamenti che possiamo assumere come genitori e riguardo le emozioni e i pensieri che stanno dietro ai nostri comportamenti.
Le nostre emozioni
Quando i figli mettono in atto comportamenti che non corrispondono alle nostre indicazioni, oppure non fanno ciò che abbiamo chiesto loro, capita che ci sentiamo frustrati, impotenti, inefficaci.
Se non guardiamo in modo chiaro questi vissuti possono trasformarsi velocemente e inconsapevolmente in rabbia.
Se la rabbia viene espressa in modo istintivo direttamente ai figli si può generare altrettanta rabbia, oppure paura o comunque una situazione di destrutturazione emotiva del figlio.
La riflessione che vi propongo è questa:
- So esattamente il motivo per cui sto provando rabbia?
- Se manifesto rabbia nei confronti di mio figlio cosa penso di ottenere?
La rabbia è un’emozione che non si può negare o annullare, ma si può riconoscere e gestire in modo funzionale. Far sapere al figlio che si è arrabbiati, e per quale motivo, significa educare i figli al concetto che le emozioni si sperimentano ma si devono denominare e guidare verso una direzione, non gettare addosso agli altri in modo incontrollato.
I nostri pensieri
Quando i nostri figli non rispondono alle nostre richieste o alle aspettative, cosa pensiamo di noi come genitori?
Spesso riteniamo che il figlio abbia dei problemi, che non voglia fare quanto richiesto, che vuole disobbedirci e farci arrabbiare, ecc. Il nostro primo pensiero di solito è rivolto all’esterno, attribuiamo al figlio la responsabilità del suo comportamento negativo.
A volte può capitare però che il genitore senta anche una vocina dentro di sè che gli dice “guarda che sei tu che non sei capace di educare tuo figlio!” Si insinua quindi nel genitore un’idea di scarsa fiducia in se stesso, di una bassa autoefficacia “tanto non ce la farò mai, tanto mio figlio non imparerà mai nulla da me…”.
Se questo pensiero diventa sempre più presente, l’atteggiamento conseguente del genitore sarà quello del fallimento preventivo.
I comportamenti che il genitore metterà in atto tenderanno a confermare questa previsione, così potrà dire a se stesso “vedi, te lo avevo detto che non c’è nulla da fare…”.
In questo caso la riflessione che vi propongo è: siate consapevoli che il basso di senso di autoefficacia è un virus mentale.
Come genitori dovete sapere che le vostre indicazioni, la vostra comunicazione e il vostro comportamento possono – sicuramente – aiutare vostro figlio a migliorare il suo comportamento.
Prima di tutto è il genitore che deve credere nelle proprie capacità di modificare positivamente il suo atteggiamento e solo successivamente aiutare il figlio a modificare il suo. Se questo non avviene, allora il fallimento è sicuro!
I nostri comportamenti
Questa riflessione è facile e concreta. Cosa chiediamo come genitori a nostro figlio? Ognuno può rispondere per se stesso. I comportamenti che vengono richiesti al figlio sono messi in pratica dal genitore?
I figli imparano meglio osservando un comportamento piuttosto che traducendo le parole in azioni.
Trasformare le parole in comportamenti è un’operazione difficile, che richiede più passaggi, in cui ognuno ci mette del suo e può travisare il messaggio.
Se invece un’azione la possiamo osservare quotidianamente non abbiamo dubbi su come dovrebbe essere realizzata. Le istruzioni verbali possono essere ambigue.
Inoltre, se un genitore chiede al figlio quello che lui stesso fa, allora è un modello credibile, questo significa essere autorevoli: chiedere di diventare una persona migliore attraverso il proprio esempio. Ma anche in questo caso è fondamentale il lavoro su di sé come genitore.
Questa è la sfida della nuova genitorialità. E tu, come ti senti come genitore?
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