I primi anni di vita di un bambino sono caratterizzati da una serie di evoluzioni, rivoluzioni e cambiamenti repentini. Questo può essere fonte di stress per i genitori, che cercano di comprendere i bisogni dei loro bambini e di attrezzarsi per rispondervi affrontando di volta in volta nuove sfide evolutive ed educative.
Talvolta i genitori si domandano in quale misura una criticità, un bisogno, un comportamento corrisponda a un problema da attenzionare oppure semplicemente a una fase. Questi dubbi e domande sono più che leciti durante il primo sviluppo, poiché i bambini procedono nella loro crescita proprio per fasi, per corsi e ricorsi alternando onde accelerate di apprendimenti veloci al bisogno di “tornare indietro” come in una risacca.
Vi sono alcuni momenti in particolare che sono stati teorizzati dal pediatra e neuropsichiatra americano T.B. Brazelton come Touchpoints, ossia punti di snodo, in cui avvengono le comunemente dette “regressioni” e che Brazelton invece definisce più appropriatamente come disorganizzazioni.
Approfondiamo i Touchpoints
I Touchpoints, fasi di disorganizzazione che durano da qualche giorno a due settimane, sono stati teorizzati in alcuni mesi precisi dello sviluppo tipico. Tuttavia, sono osservabili anche nei bambini a sviluppo atipico e sono prevedibili e anticipabili osservando alcuni segnali.
Tipicamente, i Touchpoint si presentano quando i bambini hanno acquisito diverse competenze tutte contemporaneamente, e dunque possono faticare nell’integrazione di esse e nella gestione emotiva di tali apprendimenti.
Questa fatica evolutiva compiuta dai bambini, che è positiva, si manifesta tuttavia tramite la difficoltà nell’autoregolazione emotiva e comportamentale, che può causare anche spostamento temporaneo dei ritmi di sonno-veglia, dunque può essere molto stressante sia per i bambini sia, di conseguenza, per i loro genitori.
Quando i genitori si rivolgono al Centro?
I genitori si rivolgono al Centro perché improvvisamente trovano il loro bambino ingestibile, nervoso e magari non dorme più, spesso pensano di dover intraprendere un intervento, un percorso diretto al loro bambino. Diversamente, se ci si trova in un Touchpoint può essere semplicemente molto utile osservare il bambino e supportare i genitori.
Secondo l’approccio Touchpoints dunque vengono attenzionate e valorizzate le nuove dinamiche relazionali tra i genitori e i bambini alla luce delle conoscenze sulle traiettorie di sviluppo. Ogni Touchpoint può richiedere modalità diverse a seconda dell’età, del livello di sviluppo dei bambini e della situazione famigliare.
Cosa fa un professionista dell’approccio Touchpoints?
Un terapista certificato per questo tipo di approccio parte da alcuni presupposti:
- i genitori sono gli esperti del proprio bambino;
- tutti i genitori hanno punti di forza;
- tutti i genitori vogliono fare il meglio per il loro bambino;
- tutti i genitori hanno delle criticità da condividere nelle diverse fasi dello sviluppo;
- tutti i genitori hanno sentimenti ambivalenti;
- la genitorialità è un processo che si costruisce per prove ed errori.
Una seduta del servizio Primo Sviluppo secondo l’approccio Touchpoints alterna momenti di colloquio con i genitori a momenti di gioco con il bambino. Tramite il dialogo e le mosse del professionista i genitori vengono accompagnati nel rendersi conto delle meraviglie in atto nello sviluppo del loro bambino. Inoltre, i genitori vengono rassicurati e rinforzati nelle loro competenze. Possono discutere le azioni migliori per mantenere e far evolvere la relazione con il bambino. Infine, ricevono una guida anticipatoria su ciò che succederà nel periodo successivo.
Se non è un Touchpoint…
In ultimo, qualora le difficoltà riscontrate non fossero indice di un Touchpoint, ma lasciassero pensare al professionista che ci fosse qualche aspetto da approfondire. In questo caso, vengono indicate le valutazioni più adeguate di secondo livello che possono essere effettuate all’interno di un lavoro di équipe.
Questo consente di intervenire, solo quando certamente necessario, in maniera preventiva e precoce, sfruttando al massimo il potenziale della plasticità neuronale dei bambini nei primi 3 anni di vita.